lunedì 20 ottobre 2008

Italo Tricarico pittore di vigilanti memorie insonni



1. Addio, Italo, pittore di vigilanti memorie insonni... Italo Tricarico non c'è più... Ed è perdita grave, è assenza che risuona quella di questo artista anarchico, ribelle, contro tutto e tutti , è come se mancasse lo spirito vitale del Salento coi suoi fichi d'india e i rovi e i profumi e il canto dei suoi colori accesi, vivi, che sapevano essere violini archi trombe e delicati passaggi di clarini, ci manca quella musica che ti va nelle vene e da queste nel cuore ti si accoglie; ci manca quel frangersi che è l'amore ascoltato, accolto, conservato , il rosso del mattino che rapido trascorre come ombra d'ala sulla terra; ma negli ultimi tempi, quando ci si incontrava ti vedevo sempre più spento, pallido, ritorto, vizzo , nei tuoi confini di quattro pareti sudate, nude, che sapevano di salso, e le tue ali ( alla Garcia Marquez) s'erano afflosciate , avvizzite , incollate le piume, era impossibile che potessi ancora volare, nonostante i tuoi sforzi , ti venivano meno le energie , ti stavi spegnendo come candela consumata.


2.Ma ti voglio ricordare quando eri l'Italo vitale che attraversava le pareti del cuore del Salento, come “ il più salentino tra i pittori “ come disse Antonio Mele . E parlava della tua arte come di un incanto puro, esplosione cromatica e sentimentale , di humus nobile e popolaresco, viscerale carnalità, di un poeta che anziché in versi , esprime coi colori il suo inno alla gioia di vivere , simboleggiata dal sole , dai girasoli , dal mare , dalla luna, dai pesci , dai papaveri accesi come fuochi luminosi dall’anima nera . E quei papaveri rossi, ma anche gialli e blu , ricorrono in quasi tutte le sue tele come i pescatori di Gallipoli , lemuri notturni stilizzati sotto la luna che inargenta il castello e la città bella , tra le reti, o nel grembo materno di case-lampare.


3.E poi quadri di fichi d’india come sogni di silenzi colorati , graffiti dell’anima meridionale , groviglio di crude dolcezze (le spine e il miele ) e di vigilanti memorie insonni, folgorazioni che lui solo sa cogliere dal torbido presente , o ascoltare nelle seduzioni delle voci e delle profezie , o tradurre dai segni tra macchie e siepi e muretti a secco, nella ridondanza di curve di una superficie ellenistica, nel remotissimo silenzio del primo giorno di vita che prepara gli accordi per i milioni di anni a venire con il diafano misticismo esoterico , nella trepida presenza di carne incredula , nella labile trasparenza di una bellezza barocca che fugge e suggestiona il contrasto , la dicotomia tra il caduco e il sublime.

4.Italo Tricarico dipinge tramonti , girasoli e fichi d’ india , musicanti guaritori , lune calanti, sciamani, tutto è trasformato nella sua mente , nella sua pittura , in una sorta di Eden gallipolino dove donne sensuali e bellissime sono fasciate di silenzio , sotto la casta luna, o immerse nelle olive , o nelle distese di papaveri , quadri fertili che fanno nascere mondi e qualcosa di vivo. Sotto il suo pennello il paesaggio salentino diventa emblema del mondo, si fa tenero e violento, denso di terrestre spiritualità , pregno di ancestrale irrequietezza ,
allucinata memoria arcaica , sentimento di solitudine, Eden agonico. Il tutto , in un linguaggio cosmico ed elementare come lo sono gli elementi della natura, in una sinfonia di toni e di spazi , in un’accensione cromatica che volge al rosso profondo, un inno alla sua terra, da cui un giorno dovette emigrare , con la famiglia , perché non ci poteva campare . Al nord , dove si recò a vivere , la sua arte si nutrì delle memorie di Gallipoli, di stucchi , gerani , mignani corti e stradine labirintiche , dei bassi e dell’odore di orina , della cultura popolare e barocca che gli si era appiccicata addosso , di quella vitalità pigra oscura fonda passionale cieca che se non trova sbocco diventa solo rabbia impotenza malinconia e nostalgia.

5. Nei suoi quadri rivivevano i ritmi e le stagioni di Gallipoli , e così riecco le focareddhe , le processioni dell’Urnia , la scapace di Santa Cristina l’acquarulu , la puzza di pesce , i tramonti da “bestie macellate”, il salnitro, la calce , le rocce ispide , la profusione di nero e la miseria. Erano come tanti spigoli per la sua anima che non trovava mai riposo e si voltava e rivoltava su quei cari umidi spinosi dolci infernali sublimi luoghi dell’infanzia , che intanto gli si andavano trasformando dentro e diventavano la sua ideale regione poetica , alimento perenne del suo estro , inesauribile fonte mitologica delle sue invenzioni

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