giovedì 25 settembre 2008

Beckett e il rumore del mare



1. Samuel Barclay Beckett lo conoscono tutti , anche quelli che non si sono “mortalmente annoiati , o terribilmente angosciati “ , come diceva un mio amico ex Sindaco di Gallipoli , nell’andare a teatro a vedere rappresentato un suo testo, come sempre oscuro , difficile , che richiede un’estrema concentrazione ; Beckett, come tutti sanno , è uno che ha cambiato l’intero teatro contemporaneo scrivendo una commedia ( Aspettando Godot) che tratta di due vagabondi che aspettano in nessun posto particolare qualcuno che non compare mai ; è un irlandese , o meglio un dublinese , che nacque il Venerdì Santo del 13 aprile 1906 da due protestanti , Franck , agrimensore , e Mary Roe , casalinga , che iniziò la sua carriera letteraria celebrando Joyce ,Dante , Giordano Bruno e Vico , e la concluse con una commedia (Respiro) senza attori , che dura esattamente trentacinque secondi e si basa esclusivamente sul vagito di un neonato; Beckett è uno che ha fatto della privazione e della depressione estrema materia d’arte , anziché di psichiatria ; un uomo costantemente in bilico tra l’arte e la follia , del resto il discrimine è costituito da un filo sottilissimo ; uno che ha espresso la sua visione catastrofica , assurda , angosciosa , desolata dell’esistenza (“Speriamo che Dio mi aiuti e mi dia una morte veloce”) con una forza , un’originalità ,una purezza e una fede davvero unica.

2.La sua non è arte , ma follìa , dice qualcuno. “Non apre niente , non ha niente da aprire , tutto è nella sua testa malata”.
Diciamolo francamente, uno così , che crea mondi assurdi , in cui i Godot non arrivano mai , mondi aggrovigliati fatti dai Sig. Knott ( leggi “nodo”) , uno a cui sembra perfettamente normale passare il tempo in un’urna o in una pattumiera , o nella sabbia fino al collo, o con la faccia nel fango , uno che ti fa vedere il tuo passato in un nastro magnetico e il tuo futuro in un fazzoletto macchiato di sangue , o in una stanza a forma di cranio , che t’apre un mondo devastato , postatomico e talmente vuoto che un essere umano sembra un’intrusione mostruosa, forse sarebbe meglio dimenticarlo , cancellarlo dalla memoria.

3.E invece no. Nonostante manchi più di un anno e mezzo all’evento, ovunque , in tutti i posti del mondo, stanno già preparando le celebrazioni del suo centenario dalla nascita: da Parigi a Dublino, da New York a Tokio, da Timbcutù a Canicattì. E allora è lecito chiedersi del perché di tanto spasmodica attesa per celebrare quest’artista che nacque depresso , ed è stato come pochi fedele alla sua vocazione alla depressione . Perché tanto attesa per celebrare un poeta , uno scrittore, un commediografo che ha scritto commedie senza attori, atti senza parole, romanzi senza trama , lontanissimo dal pubblico , a cui non ha mai voluto fare alcuna concessione ?
La gente comune non si riconosce affatto con la sua opera in cui personaggi misteriosamente infermi e disperatamente monologanti incarnano l’orribile solitudine dell’uomo contemporaneo e la sua paradossale resistenza all’oscuro annientamento che lo sovrasta.
Perché tanto parlare di lui ?, fiumi di libri , di tesi di laurea , di esercizi accademici in tutti i campi, dalla letteratura al teatro, dalla metafisica alla psicologia , nei confronti di un’artista che è sì di grande originalità e di grande purezza , ma anche di grande oscurità. Qual è il fascino di questo martire della timidezza , alla Buster Keaton ( fece un solo film intitolato
appunto “ Film” ed è in sé un’allegoria della timidezza) , quest’uomo fatto di agonie silenziose, di ultimi respiri e ultimi spasmi , nemico giurato delle folle, dei convegni e della vita sociale , uno che ha sempre sfuggito la pubblicità come la peste bubbonica e man mano che cresceva la sua fama è andata sempre aumentando la sua diffidenza e reticenza ?.

4.Anche la sua carriera è stata anomala. In fondo prima di “Aspettando Godot” era praticamente uno sconosciuto al grande pubblico, nonostante fossero trent’anni che scriveva romanzi, poesie, commedie, saggi. Lo conoscevano gli avanguardisti e gli accademici. E ancora oggi , a distanza di oltre mezzo secolo , non è facile trovare compagnie teatrali che “s’arrischino” di portare in scena le sue opere , perché (almeno qui da noi) il grande pubblico preferisce altri autori e altri tipi di spettacolo. Ma probabilmente per lui, come per Carmelo Bene, il teatro perfetto sarebbe stato senza pubblico, anche perché – non fosse stato per la scrittura – aveva delle difficoltà ( un po’ come Montale ) a credere che l’uomo esista veramente.
Quando vinse il Nobel, nel 1969 , Beckett si trovava in un hotel tunisino . Fu letteralemtne assediato da un piccolo esercito di giornalisti ( erano 257e venivano da tutte le parti del mondo) , ma non ci fu nessuno di loro che riuscisse non a fare un’intervista ( cosa praticamente impossibile), ma neppure a fotografarlo. Si barricò letteralmente e non volle vedere nessuno.

5.Ovviamente non si sognò neppure di andare a ritirare il premio , né ritenne di doversi scusare.
“Beckett era uno drogato di silenzi – disse una volta Richard Ellman – e con Joyce si impegnavano in conversazioni che erano spesso fatte di silenzi, rivolti l’uno all’altro, entrambi soffusi di tristezza, Beckett soprattutto per il mondo, Joyce soprattutto per sé stesso.”
I due sembravano anticipare le conversazioni di Vladimiro ed Estragone che non sanno cosa fare( “Speriamo che la morte arrivi in un clima caldo e secco in cui crocifiggono velocemente”).
Beckett era ossessionato dalla sua apatia e malinconia, dal cancro del Tempo e dei suoi attributi, l’Abitudine e la Memoria. In base a essa , il tempo è la condizione velenosa in cui siamo nati , che ci muta costantemente senza che lo sappiamo e che alla fine ci uccide senza il nostro consenso.
Noi siamo condannati al tempo perché abbiamo commesso il peccato originale ed eterno…di essere nati, una frase che riecheggia costantemente attraverso i suoi romanzi e le sue commedie. Noi espiamo questo peccato originale con la nostra vita , che Beckett considera una faccenda particolarmente dolorosa , e mitighiamo la pena di vivere con l’abitudine , che è la corazza che ci protegge da tutto ciò che non può essere predetto e controllato , da quell’intero mondo di sensazioni che assicura solo sofferenza. Per Beckett la possibilità che la vita possa offrire alternativa alla sofferenza – cioè l’amore o il piacere –semplicemente non esiste. “La sola consolazione è che la sofferenza è una precondizione dell’arte ; la sofferenza ispira , altrimenti il massimo che possiamo aspirare sonole infrequenti illuminazioni di una memoria involontaria . L’arte è l’apoteosi della solitudine , non vi è comunicazione perché non vi sono mezzi di comunicazione”, scrisse tanti anni prima . E poi:

6. “ Essere un artista vuol dire fallire, come nessun altro osa fallire questo fallimento è il suo mondo ed evitarlo vuol dire diserzione …”
Più dura lo sforzo artistico più ti porta ineluttabilmente nelle profondità spirituali interiori , in cui la parola si contrae sempre di più, finchè arrivi al massimo della contrazione in cui la solitudine e la profondità non sono più sopportabili, ed ecco che tutto ciò che rimane è una specie di stenografia arcaica , le “rune” della disperazione.
“Ceneri” è la concentrata affermazione drammatica delle difficoltà di essere uno scrittore , in cui ti chiudi sempre più nel tuo universo solipsistico. La sola realtà esterna è il rumore del mare , che egli non può tollerare ma da cui non può nemmeno fuggire , un basso continuo che tormenta una vita deprivata che si sta spegnendo come il fuoco nella casa di Bolton, ridotta in cenere. E quel rumore del mare , quella vita che si sta spegnendo – qualcuno ci sussurra all’orecchio – non è forse anche la nostra?

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