giovedì 4 dicembre 2008

Pino Della Rocca borghese gentiluomo



1. “ Il mio sogno nel cassetto è quello di avere sempre un sogno nel cassetto” . Parole e…voce ( arrochita dalle quaranta sigarette giornaliere) di Pino Della Rocca, uno dei punti di riferimento del teatro gallipolino , per talento e serietà d’intenti, per semplicità, umiltà e …tanta fatica . Pino lo ricordo vent’anni fa , al debutto , presso la sala ottagonale del Castello Angioino , con la regia di Francesco Piccolo, in un mio lavoro teatrale ( il primo) , “ Il caso Gesù” , in cui , se non ricordo male, era un Caifa sopra le righe , un ruolo non facile. E poi , subito dopo , con “L’Orso” di Cechov e in un altro mio lavoro , “I Naufraghi”, due atti unici che furono portati lungo la costa salentina , dalle “Quattro Colonne”, a “Torre Pizzo”, a Leuca , per tornare alla “Vecchia Torre Sabea” , con il concessionario lombardo e i suoi ospiti “chic” che invertivano i lavori , per cui l’Orso , uno dei celebri “scherzi” cechoviani era il mio ( troppa grazia!) e il drammatico/ surreale “I naufraghi” del grande drammaturgo russo. E poi ancora altri miei testi , “Frate Francesco” , al Teatro Italia , “Ipotesi Cancro “, unitamente al pirandelliano “L’uomo dal fiore in bocca” , al glorioso “Teatro Schipa” . Sempre bravo, Pino, fin dal debutto, con una voce di grande qualità e un talento naturale per la recitazione , una buona impostazione di palcoscenico , il tutto unito ad una straordinaria umiltà , spirito di sacrificio e determinazione, voglia di imparare e migliorare, volta dopo volta, farsi una cultura sul campo, con lo scorrere degli anni , le virtù e gli affanni , le amarezze , l’insofferenza, la rivolta , la fede, la speranza, l’illusione , la fuga , una teoria di visioni e di appuntamenti mancati , progetti e fatiche andati in malora , le insidie , il veleno , le ferite , il pianto, ma poi torna il sorriso , il fascino e il mistero e la grande risata dell’attore moleriano che con la sua forza comica rifà la storia del mondo. Mentre lui continuava a fare tanto, tantissimo “Pirandello”, nel Salento, ma anche altrove , in Sicilia e all’estero , al seguito del suo maestro e mentore, mietendo successi in tutti i teatri , io facevo tutt’altre cose e , come capita , ci siamo persi di vista, per un bel po’. Finchè, rieccoci qui, quasi vent’anni dopo ( come i Moschettieri di Dumas) con il “Borghese Gentiluomo” , nello stesso rinnovato teatro Schipa , lui capocomico , come si diceva una volta , fondatore , direttore , amministratore , regista e prim’attore della compagnia “TaliAnxa” , ed io spettatore privilegiato di quarta fila (la migliore) , ad ammirarlo nelle vesti di Monsieur Jourdain , con una gestualità che rievoca a tratti il grande inimitabile Molière , a cui l’unisce il “vizio pazzesco del teatro”. A dirla proprio tutta , Molière , al secolo Jean Baptiste Poquelin , autore , attore , capocomico , amministratore, figlio di un tappezziere di corte , “era” il teatro . E perciò non poteva che morire sulla scena.


2.La sua risata , che, da sola, lo fece grande attore , negli ultimi spettacoli , gli veniva su dal petto e si nutriva di tosse e sbocchi di sangue. Per Pino , anche lui di modesta famiglia gallipolina, il teatro significa molto, ma non è certamente tutto.
Molièere scrisse il “Borghese” per Re Sole , il mitico Luigi XIV, che voleva l’esaltazione della luce, della musica e della danza , con sontuosi balletti che glorificavano lo splendore della luce, costumi d’argento, di velluto, di raso, carichi di ricami, di ornamenti, di pietre preziose dai colori accesi con alti turbanti ornati di pennacchi e di fiori, e la satira di costume – che non è mai solo divertessiment – per la scena finale, la più pittoresca , quella della beffa del Gran Turco, si ispirò ad un fatto realmente accaduto nl 1669 . Un inviato della Sublime Porta di Costantinopoli si presentò alla Corte di Francia, latore di un messaggio del Sultano dei Turchi per il Re dei Francesi. Dal pittoresco incontro tra i due mondi - che fecero a gara nell’esibirsi in tutto il loro sfarzo - non nacque niente di buono sul piano politico, perché l’ambasciatore turco pretendeva che Luigi XIV si alzasse in piedi per ricevere la lettera del Sultano, e Luigi XIV - naturalmente! - si rifiutò di farlo. Nacque invece - su un altro piano - «Il borghese gentiluomo» di Molière, perché la curiosità creata dalla folcloristica visita spinse il Re Sole a desiderare una «turcheria», ovvero uno spettacolo con costumi, danze, cerimonie di sapore moresco, spettacolo che fu appunto questa commedia balletto di Molière, con musiche di Lulli, coreografie di Beauchamp, costumi di D’Arvieux, rappresentato per la prima volta al Castello di Chambord, davanti al Re e alla sua Corte. «Il borghese gentiluomo» è il solo grande capolavoro tra le tante opere che Molière scrisse per compiacere il suo sovrano; al di là di una cornice convenzionale, di situazioni e fatti presi dalla più solida tradizione teatrale, il «Borghese» vive della più pura comicità molieriana, e il suo protagonista - l’ineffabile e ingenuo Monsieur Jourdain - entra a pieno diritto nella galleria dei personaggi più popolari del teatro di tutti i tempi. E tuttavia io penso che la vanità , lo snobismo, la goffaggine di Jourdain sia anche un modo di reagire ai preconcetti e alle angustie sociali del tempo, ma anche del nostro tempo in cui crediamo ancora – nonostante siano stati aboliti dalla Costituzione – ai titoli nobiliari , e le cronache dei settimanali di costume traboccano di principi, conti , baroni e duchi: crediamo ancora ( forse) – come Jourdain – che i nomi e le cose coincidano perfettamente , simmetricamente , per cui il principe Emanuele Filiberto è il principe e la contessa De Black è la contessa a dispetto delle loro insulsaggini. Ci sono ancora tra noi tanti Monsieur Jourdain credono che i titoli nobiliari siano contrassegno letterale di altrettanti valori , che invece non appartengono a una classe sociale ma alla vita di tutti; la generosità, il coraggio, la destrezza, il vino, le donne, la musica, la bellezza, la gioia di vivere e di sapere, il piacere indeteriorabile dello spirito. Ma Monsieur Jourdain , a ben vedere , soprattutto crede nei sogni , e qui c’è ’identificazione con Pino Della Rocca. Il pubblico ha simpatia per questo Jourdain - Della Rocca , che viene truffato , raggirato , sfruttato e messo alla berlina , che si dimostra goffo, ignorante, babbeo, un gonzo che dilapida le sue sostanze per l’ubbìa di diventare nobile . Il pubblico rivede in lui una sorta di eroe romantico, le cui grandezze superano di gran lunga le sue meschinità, e si erge su tutta la masnada di sfruttatori che gli vendono a caro prezzo i frutti della loro arte, assecondando i suoi capricci ignoranti come quei cattivi educatori che dispensano diplomi d’idoneità dietro lauto compenso. La sete di valori è il valore di Jourdain, e nel momento storico che attraversiamo, in cui i sogni sono per lo più intrisi di materia e gli orizzonti sin troppo tangibili e bui, lui ci ricorda una possibilità: quella che il denaro sia solo un mezzo e non il fine. Col suo ostinato recitare la parte fino in fondo ci rivela quanto basso possa essere il mondo dei furbi e ci insegna a difendere i nostri desideri aldilà di qualsiasi delusione. È così che la satira acuta, in cui ogni borghese dell’epoca credeva di vedere ritratto il suo vicino, assume i colori di una fiaba leggiadra e metaforica, ed il riso per i perfetti meccanismi comici messi in atto, si trasforma in nostalgia per qualcosa che Jourdain porta via con sé; non si ride più di lui, ma grazie a lui. Alla celebre battuta di Jourdain “Questa poi. Sono passati più di quarant’anni da che faccio della prosa e non ne so niente! Vi sono veramente grato di avermi aperto gli occhi.”, Pino sembra voler dire : sono più di vent’anni che faccio Teatro , caro pubblico di Gallipoli e solo oggi mi avete scoperto? Comunque ve ne sono grato: meglio tardi che mai.

3.Le cose gli riescono meno nella “turcheria” finale in cui l’aspirante nobile viene gabbato, dove diventa un Totò le Mokò barocco tra danze del ventre e citazioni di fantasismo , però al riguardo c’è da dire che se a suo tempo la danza e il balletto costituivano grandiosi elementi di scena , oggi acquistano senso solo se si collegano strettamente all’azione, se si usano come codici diversi per operare con il protagonista il salto desiderato, dalla “prosa” alla “poesia” e ciò ha tentato di fare con i mezzi che aveva a disposizione Pino Della Rocca, facendo delle odalische una sorta di transessuali o travestiti da infimo bordello.Detto che la scenografia è concepita secondo uno schema semplice, geometrico, lineare che permette a tutti gli attori le vie di fuga e le entrate , che i costumi , realizzati dalla moglie di Pino ( Susanna d’Amato che è anche colei che ha fatto la riduzione del testo molieriano ) sono fatti con scrupolo storico e ambientalistico, il trucco è plausibile, che il testo è stato efficacemente ridotto all’essenziale , con qualche arbitrio reso necessario dalla dimensione della compagnia ( ad esempio l’organizzatore dello scherzo turco non è il servo di Cleonte , Coviello, ma la servetta di Jourdain, Nicolette ) , tutti i giovani attori della compagnia , malgrado recitino un repertorio classico, sono d’una freschezza e d’una disinvoltura davvero rimarchevole. Su tutti , Francesco Cortese, nella doppia parte del maestro di danza “tedesco” e del baroccheggiante spasimante Cleonte.

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