1.E morto per difendere un ponte, il “suo” ponte che aveva smontato , aggiustato, ridipinto, rimesso a nuovo, era un mese che ci lavorava a quel vecchio ponte abbandonato dai sovietici , a Paghman, un villaggio dell’Afghanistan , a soli 15 chilometri dalla capitale, Kabul , quel ponte che si doveva inaugurare proprio quel giorno dinanzi alla popolazione e alle autorità locali.
«Non era uno che si tirava indietro» , dirà lo zio Giovanni Stefanizzi, “ e non lo ha fatto neanche vicino a quel maledetto ponte”.
Ma un ponte non è mai maledetto, è qualcosa che unisce, affratella, accomuna, anche quando le sponde opposte da ricongiungere sono infinite e infinitamente lontane. E’ un’opera architettonica dal lungo corpo composito, cemento, legno, metallo, con una sua anima. E questo lui lo sapeva bene , perché su quel ponte c’era la sua anima , il suo “genio” di “pontiere” straordinario, uno che sapeva costruire ponti come archi di pace , ma col rischio costante e consapevole della vita perché da sempre c’è chi i ponti li distrugge , li vuole far crollare , da sempre i pontieri del genio militare muoiono negli incidenti di cantiere perché gli elementi dei ponti sono grossi, pesanti e definitivi, basta un errore o il cedimento di un elemento e si muore. Una vita , la sua , irripetibile , devastata , spenta da un kamikaze, una bomba umana frutto dell’odio , ma anche della miseria . Si è spento così il Maresciallo Capo Daniele Paladini uno che amava con umile grata e diuturna passione la vita che gli era stata data , uno dal sorriso buono , e pieno di meraviglia , un costruttore di ponti , che solo poche ore prima aveva detto alla moglie , alla figlioletta e alla madre , State tranquille , qui è tutto tranquillo, rischiate più voi col traffico sulle strade , e poi ho pochi giorni ancora da restare , per le feste sarò con voi , e faremo meraviglie , perché solo la meraviglia ci potrà salvare . Invece è venuto prima, dentro una bara ricoperta dal tricolore , è morto nella sua stagione più bella, a soli trentacinque anni, questo nostro soldato.
2.Il mondo è pieno di soldati. Ma i soldati veri, quelli sono pochi. E Daniele Paladini era un soldato vero, “un soldato eccezionale”, dice il Colonnello Di Fonzo, comandante del contingente di Kabul . Nel senso buono, positivo del termine, che implica disciplina , lealtà, fierezza, spirito di sacrificio , orgoglio, amor di patria , termine caduto in disuso, anzi quasi sbeffeggiato, ma che in lui aveva ancora un alto significato. Daniele era tutte queste cose , e per capirlo basta guardarlo in faccia , guardate quella sua faccia pulita , intensa , bella , faccia salentina alla Don Tonino Bello , all’ Aldo De Donno, per restare ai nostri tempi , metà santo e metà guerriero, con un sorriso luminoso, un sorriso pieno di meraviglia , un sorriso buono. E poi lo sguardo profondo , che era un incendio azzurro. C’era tutto in quello sguardo , il passato e l’avvenire , il cielo e il mare della sua terra d’origine , Lecce, il Salento. E la storia di quell’antico popolo abitava dentro di lui, i messapi , domatori di cavalli, ma anche quieti pastori, ceramisti, contadini, pescatori , poeti. E guerrieri , anche, ma per necessità, per difendere la propria famiglia, la propria gente, la propria terra. Lui è morto per difendere un ponte, il 24 novembre 2007 , il giorno stesso in cui gli italiani riconsegnavano quel ponte , da lui rimesso a nuovo, alla popolazione martoriata di Kabul.… Era lì in attesa delle autorità, della folla dei civili, degli altri soldati , quando ha notato il terrorista che cominciava ad avvicinarsi lungo il greto del fiume , nascondendosi grazie ad una fila di alberi . “L’obiettivo del terrorista erano proprio i civili , ed i soldati della Nato. Daniele gli è andato incontro , gli ha intimato l’altolà, ma quello non si è fermato , ha fatto un passo ancora e si è fatto saltare in aria» , dice il comandante di Italfor. E insieme a lui altri nove morti civili, tra cui tre bambini e tre soldati feriti italiani. La strage è avvenuta alle 9.52 locali , le ore 6.22 in Italia, quando la moglie, la figlioletta e la madre venivano svegliate di soprassalto.
«Non era uno che si tirava indietro» , dirà lo zio Giovanni Stefanizzi, “ e non lo ha fatto neanche vicino a quel maledetto ponte”.
Ma un ponte non è mai maledetto, è qualcosa che unisce, affratella, accomuna, anche quando le sponde opposte da ricongiungere sono infinite e infinitamente lontane. E’ un’opera architettonica dal lungo corpo composito, cemento, legno, metallo, con una sua anima. E questo lui lo sapeva bene , perché su quel ponte c’era la sua anima , il suo “genio” di “pontiere” straordinario, uno che sapeva costruire ponti come archi di pace , ma col rischio costante e consapevole della vita perché da sempre c’è chi i ponti li distrugge , li vuole far crollare , da sempre i pontieri del genio militare muoiono negli incidenti di cantiere perché gli elementi dei ponti sono grossi, pesanti e definitivi, basta un errore o il cedimento di un elemento e si muore. Una vita , la sua , irripetibile , devastata , spenta da un kamikaze, una bomba umana frutto dell’odio , ma anche della miseria . Si è spento così il Maresciallo Capo Daniele Paladini uno che amava con umile grata e diuturna passione la vita che gli era stata data , uno dal sorriso buono , e pieno di meraviglia , un costruttore di ponti , che solo poche ore prima aveva detto alla moglie , alla figlioletta e alla madre , State tranquille , qui è tutto tranquillo, rischiate più voi col traffico sulle strade , e poi ho pochi giorni ancora da restare , per le feste sarò con voi , e faremo meraviglie , perché solo la meraviglia ci potrà salvare . Invece è venuto prima, dentro una bara ricoperta dal tricolore , è morto nella sua stagione più bella, a soli trentacinque anni, questo nostro soldato.
2.Il mondo è pieno di soldati. Ma i soldati veri, quelli sono pochi. E Daniele Paladini era un soldato vero, “un soldato eccezionale”, dice il Colonnello Di Fonzo, comandante del contingente di Kabul . Nel senso buono, positivo del termine, che implica disciplina , lealtà, fierezza, spirito di sacrificio , orgoglio, amor di patria , termine caduto in disuso, anzi quasi sbeffeggiato, ma che in lui aveva ancora un alto significato. Daniele era tutte queste cose , e per capirlo basta guardarlo in faccia , guardate quella sua faccia pulita , intensa , bella , faccia salentina alla Don Tonino Bello , all’ Aldo De Donno, per restare ai nostri tempi , metà santo e metà guerriero, con un sorriso luminoso, un sorriso pieno di meraviglia , un sorriso buono. E poi lo sguardo profondo , che era un incendio azzurro. C’era tutto in quello sguardo , il passato e l’avvenire , il cielo e il mare della sua terra d’origine , Lecce, il Salento. E la storia di quell’antico popolo abitava dentro di lui, i messapi , domatori di cavalli, ma anche quieti pastori, ceramisti, contadini, pescatori , poeti. E guerrieri , anche, ma per necessità, per difendere la propria famiglia, la propria gente, la propria terra. Lui è morto per difendere un ponte, il 24 novembre 2007 , il giorno stesso in cui gli italiani riconsegnavano quel ponte , da lui rimesso a nuovo, alla popolazione martoriata di Kabul.… Era lì in attesa delle autorità, della folla dei civili, degli altri soldati , quando ha notato il terrorista che cominciava ad avvicinarsi lungo il greto del fiume , nascondendosi grazie ad una fila di alberi . “L’obiettivo del terrorista erano proprio i civili , ed i soldati della Nato. Daniele gli è andato incontro , gli ha intimato l’altolà, ma quello non si è fermato , ha fatto un passo ancora e si è fatto saltare in aria» , dice il comandante di Italfor. E insieme a lui altri nove morti civili, tra cui tre bambini e tre soldati feriti italiani. La strage è avvenuta alle 9.52 locali , le ore 6.22 in Italia, quando la moglie, la figlioletta e la madre venivano svegliate di soprassalto.
3.Daniele non era un eroe per caso , come è stato scritto su qualche giornale, e neppure un eroe normale, come dicono le Istituzioni , a partire dal premier e dal Presidente della Repubblica, per il quale sono tutti eroi in nostri soldati in missione di pace. Ma non è così. Daniele era un eroe per vocazione, oserei dire per destino, fatalità, o ancora di più, per un’idea stessa di eroismo che ci formiamo nella mente e che viene da lontano , dall’antica Grecia di Omero insieme alla musica e alla poesia, al canto caldo che fanno i cieli rossi dei tramonti pieni di solitudine e malinconia. Era, insomma, un eroe umile, un eroe salentino, pienamente cosciente di quel che faceva e dei rischi che correva, a cui non poteva e non voleva sottrarsi.
Alla radio, in macchina, quando ho appreso la notizia, che un soldato italiano era morto in Afghanistan nel tentativo di bloccare un kamikaze, il nulla si è fatto angoscia , e il vecchio cuore ha cominciato a battere all’impazzata. Ancora prima di conoscere il nome della vittima , io sapevo che si trattava di un salentino, ma di quelli buoni ( ahimè , purtroppo ce n’è anche di cattivi, altrimenti la regione non sarebbe com’è) , che io conosco e so che sono straordinari, unici, irripetibili, uomini che sanno fare bene le cose che non esistono , ovvero le missioni di pace con tutto lo strascico di imperante retorica. Non esistono, ma sono capaci di inventarle quelle cose , al di là dell’opportunismo politico , o del bieco cinismo affaristico , con la fantasia e soprattutto con la fede, sono uomini capaci di credere in ciò che fanno e lo fanno bene, con passione, con amore , con grande senso del dovere e di umana solidarietà. Era un uomo gentile , con un cuore dolce, che faceva il soldato , uno dei tanti salentini che per affermarsi devono emigrare al nord, Seregno , o Novi Ligure , devono combattere, rischiando la vita dove c’è maggior pericolo , in Kosovo, o in Afghanistan , uomini che muoiono giovani, com’è nel loro destino, lasciando nel lutto una famiglia , una città, una regione, una nazione, l’ umanità stessa , sempre in cerca di nuovi costruttori.
Alla radio, in macchina, quando ho appreso la notizia, che un soldato italiano era morto in Afghanistan nel tentativo di bloccare un kamikaze, il nulla si è fatto angoscia , e il vecchio cuore ha cominciato a battere all’impazzata. Ancora prima di conoscere il nome della vittima , io sapevo che si trattava di un salentino, ma di quelli buoni ( ahimè , purtroppo ce n’è anche di cattivi, altrimenti la regione non sarebbe com’è) , che io conosco e so che sono straordinari, unici, irripetibili, uomini che sanno fare bene le cose che non esistono , ovvero le missioni di pace con tutto lo strascico di imperante retorica. Non esistono, ma sono capaci di inventarle quelle cose , al di là dell’opportunismo politico , o del bieco cinismo affaristico , con la fantasia e soprattutto con la fede, sono uomini capaci di credere in ciò che fanno e lo fanno bene, con passione, con amore , con grande senso del dovere e di umana solidarietà. Era un uomo gentile , con un cuore dolce, che faceva il soldato , uno dei tanti salentini che per affermarsi devono emigrare al nord, Seregno , o Novi Ligure , devono combattere, rischiando la vita dove c’è maggior pericolo , in Kosovo, o in Afghanistan , uomini che muoiono giovani, com’è nel loro destino, lasciando nel lutto una famiglia , una città, una regione, una nazione, l’ umanità stessa , sempre in cerca di nuovi costruttori.
4.Dice il Generale Fabio Mini, ex comandante delle forze Nato in Kosovo, che Daniele Paladini è morto da Eroe perché si è sacrificato coscientemente salvando altre persone e combattendo corpo a corpo con un nemico armato. Per tutto questo l'esercito e l'Italia sono orgogliosi di lui e dei suoi compagni. “Ma Paladini – aggiunge Mini - è morto anche da Soldato Nuovo: da soldato che ha adottato un modus operandi selettivo, che è in grado di osservare l'ambiente, di capire l'avversario e che sceglie coscientemente d'intervenire sul singolo piuttosto che sparare nel mucchio. E per questo la morte di Paladini è ancora più dolorosa e amara. Un Eroe è sempre una persona eccezionale e il vuoto che lascia è incolmabile, ma perdere in Afghanistan un Soldato Nuovo che agisce come un Uomo tra uomini è una vera tragedia. Per tutti.Il Salento vomita morti, diceva Carmelo Bene, e si riferiva non solo ai martiri di Otranto , dimenticati dalla storia dell’Italia ufficiale, ma a tutti quelli che considerava i martiri di oggi, appunto il forte contingente di salentini che s’era arruolato nella polizia, nei carabinieri, nelle forze armate , salentini che ora si ritrovano ovunque , in terra, nel mare e per i cieli, fratelli di sangue , carne da macello, ma anche costruttori di meraviglie e di pace.
5.Il maresciallo Paladini non è la risposta a chi si chiede “ che cosa ci stiamo a fare in Afghanistan?”, come scrive Vittorio E. Parisi sull’ “Avvenire”. No, è morto solo per difendere un ponte; era il suo dovere, la sua vocazione, il suo destino, su quel ponte ha visto per primo, ha intuito per primo ( altrimenti non sarebbe morto) quel che stava accadendo, ed è andato incontro a quell’attimo definitivo, che è di coraggio , di desiderio, di verità, forse di gloria.
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